Pagina:Politici e moralisti del Seicento, 1930 – BEIC 1898115.djvu/233


dal «tacito abburattato» 227


E quando anche il cortigiano fosse ammesso dentro il cuore del suo padrone in ordine a’ negozi, questo stesso fora gran motivo a escluderlo in riguardo dell’amicizia. Esser favorito e segretario mal si convengono: sol per essersi di te fidato prende a diffidare il principe di te: ti odia come suo tiranno, perché pargli che abbi in mano la sua libertá, mentr’ei vi ha posta la sua coscienza. Perciò Giuvenale, che il sapea benissimo, introduce il cortigiano piú favorito con sembianza, nella quale miser magnaeque sedebat pallor amicitiae. E questa è l’amicizia? che fa impallidire? che fa tremare? — Oh, mi mira di buon occhio piú di qualunque altro. — Anche il cane fa lo stesso con la pernice: si moria di fame prima che staccarsi da vagheggiarla.

Ma per grazia, come può mai darsi il cortigiano a credere che gli sia amico quel padrone, al quale egli non è amico? Io non so con qual coerenza di discorso Seneca commendi da una parte l’essersi lasciato di far legge su gli ingrati, per non ritrovar, che troppo è grande il loro numero, e dall’altra lodi al principe la povertá, perch’ella a quibus ameris ostendit. Perciocché se allora, com’ei dice, discedet quisquis non te, sed aliud sequebatur, come non sará sventura grande quel successo che nel mezzo alla cittá piú folta gran romito fará restarti? Ora perché il principe e i cortigiani, come relativi, hanno fra loro un simile riguardo, quindi avviene, che mentr’essi sotto spezie di servire alla sua grazia aspirano a predar la sua fortuna, cosí anch’egli, sotto spezie di far dono lor della sua grazia, lor va incatenando acciò accompagnino spontanei schiavi il fasto trionfal della sua fortuna. Essi sono come tante statue o tanti quadri, cosí in custodir immobili una porta od inchiodarsi a un muro, come in non aver fuorché la superficie di quel personaggio adoratore che rappresentano. Egli è come una di quelle calme, dove eadem hora, dice Seneca, ubi lusere navigia franguntur. Trattano essi all’apparenza da fenice col corteggio idolatrante il principe, ma in veritá il trattano da vile astore, che giammai del cuore degli uccelli non si nutrica: egli tratta loro come tanti miseri Apulei, posciaché presenta fiori, che