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214 anton giulio brignole sale


prova, pur da Tacito somministrata. Narra questi che Germanico, mentre facea catasto nella Francia, udita sollevar sedizione negli eserciti della Germania, tosto rapido vi accorse per acchetarla. Al lampo dell’imperial sembianza, che serenamente fulminandosi faceva amare mentre atterriva, dieder le sediziose turbe col raumiliar le ciglia gran segnali di penitenza; non pertanto, dopo ch’egli entrò ne’ padiglioni, mettean gridi, e afferrandogli la destra, sotto specie di baciatagli, que’ giá decrepiti soldati opravan, ch’ei tastasse con le sue proprie dita le gengive loro tutte sfornite. Or aguzzi pur Demostene il turcasso piú terribile degli entimemi, figuri Cicerone con color di fuoco il moto degli affetti piú concitati, che non diran mai né tanto, né sí vivamente, quanto disser quelle labbra incanutite e tremole nel lor silenzio, mentre col non poter mordere le mani, sin nelle midolle al cuor del capitano s’invisceravano. — E quando mai, — sentiva ei mutamente dirsi, — ci sará concesso, o buon Germanico, di riposare, se né men la sepolcrale etade ci ottien riposo? Quali avanzi trarrem noi di noi medesimi da tante guerre, con infaticabil serie di perpetui gradi concatenate, se fan testimonio le gengive nostre, né pur esserci permesso, dopo aver perduto le ossa, il porre in salvo le reliquie miserabili del nostro corpo? Qual necessitá sí dura sforza i miseri mortali a viver fra le morti, fino alla morte? Mira, che oggimai non reggono le curve spalle il pesante usbergo. Mira, che le secche mani, in cui vacillano le picche, altro piú non ponno, fuor che giungersi per porger voti supplichevoli alla tua pietá. Gli occhi, rosi ormai dalla vecchiaia, piú non hanno lume per dar mira a’ colpi delle saette. L’ostinarsi di volere ombre pesanti, piú che corpi vivi, sotto le bandiere, altro non è che una ingegnosa ambizione di non far sanguigne perdite, né meno quando fossimo tagliati tutti a pezzi miseramente. Deh consentici il dominio della nostra vita almen nella stagione, che siam per perderla: serva a noi quando ella piú non vale a servir te. Giá non è temeritade il dimandare di non premer con le moribonde membra una dura zolla, di spirar il fiato estremo ricevendo sulle fredde labra i baci de’ figliuoli e delle mogli,