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della dissimulazione onesta 149

bisognava che ’l sí, e ’l no, si menasse i testimoni appresso. L’amico parlava all’amico, l’amante all’amante, non con altra mente che di amicizia e di amore. Alla veritá si ubbidiva perché ella invitava ciascuno a dimostrarsi senza nube, e cosí si rappresentava l’αυ̉θέκαστος, ch’è il verace ne’ detti, e ne’ fatti, in considerar in vero ch’è di sua natura onesto; ed essendo egli φιλαλήθης, ama il vero non per ragion di utile o per solo interesse d’onore, ma per se stesso, ed ha piú occasione di amarlo quando vi s’aggiunge la salute della republica o dell’amico.

III.

Non è mai lecito di abbandonar la veritá

Non tanto la natura fugge il vacuo, quanto il costume dee fuggir il falso, ch’è il vacuo della favella e del pensiero: dicere enim et opinari non entia, hoc ipsum falsum est, et orationi et cogitationi contingens, dice Platone. Non si può permetter che della menzogna (considerata secondo se stessa) appena un neo si lasci veder nella faccia dell’umana corrispondenza; e di piú, quando il vero non par di esser vero, convien di tacere, come afferma Dante:

... a quel ver c’ha faccia di menzogna
dee l’uom chiuder le labbra quant’ei puote,
però che senza colpa fa vergogna.

Bisogna dunque di volger gli occhi alla luce alla luce del vero prima di muovere la lingua alle parole; ma come fuor del mondo si concede quello che da’ filosofi è nominato vacuum improprium, dove si riceverebbe lo strale che si vibrasse da chi fusse nell’estrema parte del cielo, cosí l’uomo, ch’è un picciol mondo, ha talora fuor di sé un certo spazio da chiamarsi equivoco, non giá inteso come semplice falso, a fine di ricever in quello, per cosí dire, le saette della fortuna, ed accommodarsi al riscontro di chi piú vale ed anche piú vuole, in questo corso degli umani