Pagina:Politici e moralisti del Seicento, 1930 – BEIC 1898115.djvu/145


della ragion di stato - vii 139


Si avvertirá che non vi sia in uno de’ cittadini tanto eccesso di ricchezze o di potenza di clientele, che, con denari e favori e donativi obbligatosi il popolo, potesse mutare la forma della republica in tirannide, accettato dal popolo come benefattore e padre del popolo; come si vide nella republica romana nella persona di Melio e de’ Gracchi.

Di grande importanza sará in questa republica procurare che i principali magistrati cadano, non nei piú ricchi, perché apporterebbe i pericoli giá narrati, ma né anco nell’ultima feccia del popolo: ma però in persone di mediocre censo, e che dalla sordida avarizia non siano macchiati; acciò e le dignitá tenghino il suo grado, e le persone onorate e nobili, vedendo le dignitá cadere in persone cosí di bassa condizione, e che intorbidiscono tal magistrato, impazienti di tal miseria non tentino novitá, dalle quali si muti lo stato della republica.

Però sará bene stabilire un censo mediocre necessario a chi possa ottenere i primi magistrati e le principali dignitá; lasciando certi uffici minori da distribuirsi al resto del popolo, il quale pagato del dovere e consolatosi per gli altri magistrati minori, si quieterá, né tumultuerá.

Non deve dispiacere il dare la cittadinanza a qualcuno, che o per virtú o per meriti o per arte introdotta di utilitá o per simil cosa merita: né in questo si può grandemente errare. Non sará giammai però lodato l’ammettere molti, o di una nazione, acciò non seguano con i veri cittadini discordie e sedizioni.

Una republica ben governata, come non deve accrescere la potenza e l’autoritá di quei cittadini, i cui pareri sono le piú volte preferiti a quei degli altri, cosí non deve levargliele. Né si deve dar biasimo a coloro, i pareri de’ quali vengono per lo piú rifiutati. Cosí avverrá, che né coloro, che sono soliti ad ottenere, parleranno differentemente da quello che sentono per speranza di premio, né quelli, che sono usati perdere, affetteranno la grazia della moltitudine col parlare a grado. (Sentenza di Tucidide nel libro terzo, sotto persona di Diodoto ragionando agli ateniesi).