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della ragion di stato - iii 107


lasciò scritto essere precetto e avvertimento di grandissima importanza il provedere de’ buoni ordini e leggi per impedire le contese e sedizioni, che nascono massimamente fra gli uomini primari dello stato: dovendo e insieme chi ha la briglia in mano del governo provedere e prevenire con rimedi opportuni, che non s’attacchi il fuoco di queste discordie negli animi degli altri, che vi potrebbero facilmente aver inclinazione.

Non è però fuori di proposito nelle cittá a tal republica soggette, se nascono qualche romori tra le principali famiglie, pur che non vi concorrino tutti gli altri cittadini, il lasciar durare fra loro questi sospetti; a benché si doverá procurare di conciliar le inimicizie, acciò non segua alcuna rivolta che rovini la cittá: l’unirli però con parentela o altro modo di reciproco amore, non è cosí di sicurezza per la republica dominante.

Aggiunge Aristotele nel detto capo ottavo del quinto un precetto, il quale, benché commune allo stato popolare, a quello de’ pochi potenti e al monarca, è però di grandissima consequenza nella republica degli ottimati e de’ pochi potenti, che è di fuggire di non ingrandire troppo alcuno, ma cercar piú tosto di contentarlo e rimunerarlo con mediocri e tenui onori, che con alti gradi, che siano di picciol durata. Perché corre gran pericolo l’uomo, che si trova nei supremi gradi di dignitá, di non pigliar mala inclinazione: non essendo virtú se non di pochissimi e rarissimi uomini l’usar bene della prospera fortuna. Il che quanto sia difficile, quindi si può conoscere, che appresso i morali ancor è in dubbio, se sia piú difficile il portarsi prudentemente e sopportar la fortuna contraria, o la prospera: essendo che la contraria rende gli uomini prudenti e sagaci, e gli fa vigilanti; e la prospera li fa insolenti, negligenti e dispregiatori, come ci insegnò Diodoro Siculo al libro decimonono. E perciò di Timoleone diceva Cornelio Nepote: et id, inquit, quod difficilius videbatur, multo sapientius tulit secundam quam adversam fortunam. Ed all’incontro in Conone dice: Accidit huic, quod caeteris mortalibus, ut inconsideratior in secunda, quam in adversa esset fortuna. Onde Aristotele, e