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i - poemetti | 25 |
III
L’ANDROGINO.
Mentre all’ardente nuzial facella,
che all’amoroso talamo ti scorge,
altri, o giovin signor, con cetre e carmi,
gli avi dall’urna richiamando applaude,
5e d’augúri percosso il cielo echeggia,
lascia ch’io nel sermon prisco a te venga
ornando un sogno dell’egizia scuola;
mistico sogno, che, se piacque a Plato,
non indegno è di te: che puoi per esso
10del bel tuo stato affigurar l’imago.
Né di gemma splendor, né forza d’auro,
né covertati d’ostro eburnei letti,
né mille campi, a mille buoi fatica,
lussurianti d’infinita messe,
15né qual piú cosa uom giova altra o piú aggrada,
tanto a vedersi è bello, e non val tanto,
sgombre le cure, a giocondare un core,
quanto amistá di coniugale affetto,
che due bell’alme annodi e in dolci tempre
20nel vario corso della varia vita,
d’un concorde voler ambo le pasca.
Questa non tiensi a un biondo crin, che all’uso
s’adatti, e al garbo d’ariosa fronte,
debil sostegno; e non si tiene a un vago
25color che per mordace aura o per lieve,
e a chi d’uom nacque inevitabil morbo,
o per tempo, che sprona e piú non torna,