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E Quel die la creò per mio sostegno,
a me, che n’abusava, il dono ha tolto,
giusto nella pietade e nello sdegno.

Io son, che in danno ho il suo favor rivolto;
35ahi! che col folle traviar dei sensi

in dolce pianta amaro frutto ho còlto!

Dunque a che fia, che delirando pensi
mia mente inferma, e che l’oblio non possa
sanarla ancor co’ pigri flutti e densi?
40Chiuse nel cavo sen d’ingorda fossa

furo le spoglie amate, e sol ne resta,
della sua fame avanzo, aride l’ossa;

eppur l’accesa fantasia molesta
qualunque volto, ove beltade io veggia,
45qualche parte di lor fa che rivesta.

Cruda pittrice, ove ragion vaneggia,
cessa dall’opra: ahi troppo, ahi troppo, ho donde
apprender quel ch’io rammentarmi or deggia!

Di lei, che al tuo pennel fugge e s’asconde,
50ben altri coll’energica favella

parlami, a cui lo mio dolor risponde.

Notte, del di piú maestosa e bella,
che le glorie di Dio pel cielo induci
a narrarsi fra lor stella con stella,
55tu la mirasti con immote luci

vagheggiar meco nel sereno estivo
le tante meraviglie che conduci;

meco l’udisti, in zel fiammante e vivo
gareggiando, all’eterno Facitore
60dar laude, quale i’ non so dir né scrivo.

In quelle del gioir pacifiche ore,
per lei stringer vedea nodo soave
santa Pietade e coniugale Amore.

Qual cura piú pungente e qual piú grave
65i’ non sopiva nel suo casto seno,

con quel piacer che ripentir non bave!