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Pasco alcun poco il ciglio affascinato;
65ma la dolce illusion fugge, e m’accorgo

che la sposa non è quella ch’io guato.

Sul desco allora smanioso i’ sorgo,
e a temprar la bevanda, e condir l’esca,
d’amarissimo pianto un fiume sgorgo.
70Timor nuovo ne’ figli avvien che cresca
tutti tendon le braccia, ognun mi dice:
— Deh! padre, per pietá, di noi t’ incresca:

orfani della cara genitrice,
per noi chi resta? a noi pensa, che or sei
75tu genitor, tu madre e tu nutrice. —

Si dividon cosi gli affetti miei:
tenerezza, cordoglio, amore e pena,
quello che mi restò, quel che perdei.

Ma il duol piú s’esacerba e acquista lena,
80se il maritale abbandonato letto

pietá molesta a riveder mi mena.

Corro, e, mentre le braccia alte vi getto,
e la scomposta coltre e il freddo lino
premo col volto e con l’ansante petto,
85parmi ch’ei dica: — A che mi sei vicino?

Ecco il vedovo grembo io ti disvelo;
mirai come n’appar vuoto e meschino.

Quella, che tanto amasti, or piú non celo;
quivi non son le membra dilicate,
90che fúr d’alma piú bella il piú bel velo.

Io, testimon dell’ore tue beate,
godea vedermi assisa sulle sponde
con il casto Pudor santa Onestate.

Piú non v’ha tal di lor, che mi circonde;
95i’ son d’Amore un desolato campo:

baciane i tristi avanzi e spera altronde. —

A quel muto parlar gelo ed avvampo,
e in compagnia del duol, che mi precede,
i tardi passi in suol romito io stampo.