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XIII ALLA CETRA.


Extreniíivi bunc, Aretiisa, viihi concede labotem.
VlRG., Egl., X.

Dono amico del del, mia cetra d’oro,
pria ch’io t’appenda taciturna ai muri,
concedi a me quest’ultimo lavoro,

quest’ultimo lavor ch’eterno duri,
5e duri ei sol, né mi dorrá se oblio

molti altri miei di tacit’ombra oscuri.

Te fin da’ piú verd’anni al fianco mio
non servii arte faticosa appese,
ma dagli astri trasfuso estro natio.10 Egli le corde tue temprando tese,

e alla mia man le consegnò sonore,
che agile in breve a modularle apprese.

Ei m’infiammò d’ascree faville il core,
l’ingegno colori d’immagin vive,
15e al mio labbro insegnò voci canore.

Quindi echeggiar si udirono giulive
e del mio canto e del tuo suon talora
l’aonia selva e le castalie rive.

E l’armonia ch’ivi destossi allora,
20amo sperar che, non del tutto estinta,

mormori forse a qualche orecchio ancora.

Che se, da cetre piú famose or vinta,
tace obliata giá, paga almen fia
eh* un giorno fu con qualche onor distinta.
25Ah! quel tempo ricordi, o cetra mia,

quando sul fresco margine d’un fonte
che al nostro canto gorgogliar s’udia.