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152 carlo castone rezzonico della torre

280eterna Primavera, i duri petti
mosser de’ vincitori. Al suol ne vanno
le testudinee vòlte, e l’operose
pavimenta ricopre alta ruina.
Ne geme il bosco, e sen lamenta il verde
285Euripo pien di gemme, e per le vaste
terga del Lario dall’un lido all’altro
orribilmente la gran vampa ondeggia.
Dov’è giustizia, o vincitor crudele,
dov’è la fede? Ma del fato ignara
290e del fosco avvenir gli uomini han mente,
né serban modo nella lieta sorte.
Tempo verrá che l’aspro eccidio e il giogo
degli orobi infelici in odio avranno
gl’insubri istessi, e del trionfo amara
295sará la ricordanza. Ecco dall’Alpe
scende Enobarbo alto in consiglio, e l’arme
e i dritti ha seco del romano impero.
Fama il precede, ed il terror sugli occhi
dell’itale cittá l’aquila spiega,
300l’aquila a cui de’ regnator lombardi
il ferreo serto giá cader parca
dall’immemore artiglio. Al lago in riva
posa alquanto lo svevo. Umida piomba
notte, e per la deserta ampia con valle
305voce di vagolanti ombre stridea.
Muove intanto dall’acque oscura e lenta
ruota di nebbia, che serpe alto, e fascia
di piú profonda tenebria la vasta
purpurea tenda, ove fra l’armi e l’oro
310Cesare assonna. Al capo suo sta sopra
di stranie larve architettor Morfeo,
e gli figura di lanose nubi
contesta nave, che col rostro acuto
par che il tacito fenda aere notturno,
315che d’agitato mare avea sembianza.