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i - poemetti 135

170dell’aria i campi balenando indora
la pittrice settemplice del mondo;
e il rozzo pastorel le ciglia inarca,
alto veggendo sull’umil capanna
quell’astro che dal monte escir non vide.
175Cosí l’uom, che nascendo accoglie e serra
pingue ignoranza in raddoppiate bende,
al lungo impero della cieca dea
di sottrar non s’avvede il proprio spirto,
finché pieni di forza a lui non vibra,
180sul cammin tenebroso della vita,
raggi la lampa di ragion, che in pugno
gli accese un nume, e l’aleggiar nudrio
della fugace etá. Crede ciascuno
innato de’ suoi sensi il facil uso,
185benché di lunga esperienza ei sia
il tardo frutto; e tal error giá festi,
con lucido discorso, altrui palese
tu che, di nostra umanitá men carco,
al vol ti mostri del sublime ingegno,
190o meditante Condillac, maestro
de’ pochi arditi che l’aereo albergo
tentan del metafisico sapere;
e di vederti non isdegno a fianco
l’itala musa, che vestir tuo magno
195argomento di grazia ama, e di suono
severamente armonioso, e forse
col bel volto virgineo al tuo pensiero,
dolce ad un tempo e flebil ricordanza,
l’amabile Ferrando ella richiama.
200Certo non mai di gravi sofi il nome
fu, nell’antica e nella nostra etade,
a Febo ingrato, e culto anzi ed altare
nelle pensose selve han da’ poeti,
e proprio seggio dalle muse in Pindo.
205Io che fin da’ prim’anni osai con franco