a vagheggiar de la natura i sacri
giardin ridenti, e gl’istillò nel petto, 30eccitatrice d’ammirabil estro,
de’ suoi piaceri la nettarea vena:
oggi, ch’imprendo a rivestir del tosco
libero idioma lo straniero carme,
per ignota ai volgar mistica legge 35di somiglianza e d’armonia, de’ primi
felici moti e de le prime forme,
le ben disposte obbedienti fibre
de l’agitato mio cerèbro acceso,
e i ben armonizzati organi impronta. 40Cosí il vocale elastico metallo
stampa ne l’aere d’ondeggianti cerchi
armonica catena, a cui risponde
nel flessuoso provocato orecchio
de’ nervei stami il tremolar concorde. 45Ma chi de la sudata opra febea,
ch’avida di mirar l’aperto giorno
l’odiato desco e ’l limar tardo insulta,
sará meta e splendor? Da chi potranno,
se non vengono a te, sperare i carmi, 50in questa ai vati tanto etá nimica,
immortale Frugon, vita e conforto?
Ecco che a te de l’antenorea Atene
d’arti e scienze alma nudrice, e madre
d’anime egregie, a cui fervono in petto 55calde di glorie le faville antiche,
move il mio canto. Al non ignobil dono
vien duce il merto tuo, compagno un sacro
grato dover. De le tebane corde
t’armò Febo la cetra, e l’ali al tergo 60del venosin ti die’: se non che forse
tu a maggior volo le sciogliesti ancora,
quando nel sen d’eternitá cosperse
tutte portasti d’apollinea luce