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i - poemetti 121

cigolando dicrollasi e rovina
il sognato del ciel macchinamento,
e Tolomeo da lunga invan sospira.
130Giá leva Atlante dal penoso incarco
libero il collo e le marmoree spalle
meravigliando; nella fulva arena
splendono i pezzi dell’infrante sfere.
Alle rovine il vincitor borusso
135esulta in mezzo; e, da sue voci scosso,
d’altri sofí antichissimo drappello
i tacit’antri e le pensose selve
lascia d’Eliso, e con maestra mano
il confuso de’ cieli ordin corregge.
140Ferve l’opra immortal. Facili i numi
al gran lavoro aspirano, che giacque
colpa di cieca opinione, avvolto
di smemorati secoli fra l’ombre.
Giá de’ corsier foco-spiranti Apollo
145a Pitagora cede il fren gemmato;
e, rimembrando pur l’acerbo caso
dell’inesperto agitator d’Eoo,
le gote irrora di paterno pianto.
Ma il samio auriga all’universo in mezzo
150ferma le rote del volubil carro,
e dal timon gli alipedi discioglie.
Quegli, esultando, per gli eterei campi
qua e lá sen vanno senza legge, e molta
dagli agitati crin fiamma si spande,
155finché vogliosi del notturno albergo
nel profondo s’attuffano del mare,
e non ascoltan piú l’ingrata voce
del mattin che dall’onde in ciel li chiama.
Ecco Nettuno dall’azzurre chiome
160a Filolao sdegnoso offre il tridente
scotitor della terra. Egli a due mani
nel sen lo vibra dell’inerte globo,