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ALL’ABATE CARLO INNOCENZO FRUGONI.
Son io forse poeta? oppur m’inganna
un error che mi piace? Aprimi il vero,
celeste Euterpe. O dea, ben sai tu quanti,
nati a l’ombre e a garrir, corvi importuni,
5nome usurpan di «cigno»; e, l’ale empiendo
di nebbioso vapor, credon sul dorso
d’amica aura febèa l’azzurre immense
strade varcar de lo stellato Olimpo,
mentre con riso de le aonie dèe
10radon, forzati dal pesante volo,
l’umile arena e la natal palude.
Ah! ch’io non erro. Del corporeo velo
in me sento minor l’ingombro e ’l peso
farsi, e in mia mente balenare un nembo
15aureo di luce, che distempra i sensi,
e, rotta la mortal caligin folta,
l’ingegno irraggia, e la ragione affina,
e nuova in me divinitate infonde.
Certo io non erro. Io la ravviso; è dessa
20l’animatrice de’ fantasmi alati,
libera madre de le pinte idee,
al cui cenno la terra, il mar, l’abisso
prendon novi color, novelli aspetti:
la spaziosa Fantasia, perenne
25fonte di maraviglia, eco del vero.
Ella mi fa poeta: ella, che trasse
l’anglico vate su le proprie penne