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il corsaro 23



XI.

   Eppur Corrado, guidator d’iniqui,
O strumento, di colpa anco peggiore,310
Natura non formò: ben altro in petto
Gli palpitava il cor, pria che dell’uomo,
Per forza di destin, nemico ei fosse,
E a lui nemico il Ciel. A dura scuola
Sventura l’educò; saggio ad udirsi,315
Tristo il fè all’opre, a non mai ceder fermo,
A non curvarsi altier. Vittima spesso
Di sua virtude, sua virtù solea
Accusar pria del traditor suo vero,
Nè credè mai che lo donar sia dolce,320
Quando al giusto si dona, e quanta gioja,
E qual conforto, a più donar sen’tragga.
Orribile, tradito, abbandonato,
Anzi che il fior di gioventù languisse,
Odiò i mortali, e odiolli sì che nullo325
N’ebbe in seno rimorso, e cotant’ira
Sacra voce credea, che lui chiamasse
D’alcun su tutti a riparar le offese.
Sè ben tristo sapea, ma chi di lui
Peggior non era? Ogni miglior schernìa330
Quasi perfido Ipocrita ch’asconde