Pagina:Poe - Storie incredibili, 1869.djvu/99


— 93 —


dore, i suoi occhi, i quali apparivano privi di pupille; ond’io penosamente e quas’inconscio stornai i lumi di quella vitrea fissezza e li trassi alle sue labbra, sottili sottili e come sconciamente avvizzite. E queste si aprirono; ed ecco in un sorriso singolarmente significativo lenti lenti apparire al mio sguardo i denti della nuova Berenice. Mio Dio, mio Dio, quei denti! Oh, non li avessi mai veduti quei denti, o — visti appena — fossi morto!

· · · · · · · · · · · · · · ·
· · · · · · · · · · · · · · ·
· · · · · · · · · · · · · · ·

Il lento lento stridere di una porta che si chiudeva, scossemi di quell’astrazione, ed io levati gli occhi, mi accorsi che mia cugina aveva lasciato la stanza. Ma lo spettro bianco de’ suoi denti discorreva nel mio cervello, ed era sempre lì lì come vagolante. Però l’impressione di quel suo sorriso passeggiero fu tanto viva e profonda nella mia memoria, che non mi sarebbe sfuggito il menomo screpolo della superficie di quei denti, fa menoma tinta in quella nitidissima loro uniformità, la più lieve ineguaglianza sulle loro punte. Oh, ma quei denti, que’ denti erano troppo stupendamente belli! Anzi, rimasto solo, io li vidi ancor più distintamente che non li avessi osservati poc’anzi. — Quei denti! quei denti! eran là, e poi là, sempre là e dappertutto — visibili, palpabili — a me dinanzi lunghi, affilati, eccessivamente bianchi con quelle labbra pallide — livide, or bruttamente convulse, or scempiamente vizze, ora spaventosamente tese, come poc’anzi.

E qui riassalimmi la piena furia della mia monomania, ed invano dovetti lottare contro l’irre-