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vero fantasticatore — trova, riconosce l’incitamentum, causa prima delle sue riflessioni, intieramente svanito ed obbliato.

Nel caso mio, il punto di partenza era invariabilmente frivolo, quantunque nei fantasmi della malata fantasia rivelasse un’importanza superficiale e di rifrazione. Io faceva invero poche deduzioni; se pur talora ne faceva; nella quale circostanza esse volteggiavano sino a fissarsi nell’oggetto primitivo, siccome in lor centro. Le mie meditazioni ritraevano un non so che di amaro; e al dileguarsi di quelle strambe chimere, la causa primitiva, invece di essermisi dileguata dagli occhi della mente, aveva raggiunto quell’interesse tanto soprannaturalmente esagerato, che formava la più spiccata qualità del mio male. — In una parola, la facoltà dello spirito, più specialmente eccitata in me, era come dissi, quella dell’attenzione; mentre la facoltà del fantasticatore comune è sempre la meditazione.

Di quel tempo, i miei libri in uso, se direttamente non servivano ad irritare il mio male, partecipavano però largamente (ed è facile il comprenderlo) alle qualità caratteristiche di esso, in forza appunto della loro immaginaria ed irragionevole natura. Tra gli altri, mi ricordo assai bene del trattato del degnissimo italiano Celio Secondo Curione; De Amplitudine Beati Regni Dei; della grand’opera di S. Agostino; De Civitate Dei, e De Carne Christi; e di Tertulliano, il cui inintelligibile pensiero; — Mortuus est Dei Filius; credibile est, quia ineptum est; et sepultus resurrexit; certum est, quia impossibile est, — per più settimane assorbì proprio tutto il mio tempo in un’inutile e laboriosissima, investigazione d’intelletto.