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ombra, — vaga, variabile, infinita, vacillante; ombra esistente, essenziale, di cui mi sarà impossibile liberarmi, tanto che risplenderà il sole della mia ragione.

Ripeto, è in quella camera che sono nato. Adunque, venendo io dal fitto di una lunga notte che pareva, sì, ma non era la non esistenza, per piombar d’un tratto in un paese fatato, — in un palazzo tutto fantastico, — negli strani dominj del pensiero e dell’erudizione monastica, — non mi sembrerà cosa molto singolare che mi sia guardato d’attorno con occhio spaventato ed ardente; che abbia logorato la mia infanzia su’ libri e consumato la mia giovinezza ne’ sogni.

Ma — quegli anni essendo passati e il bello della mia virilità avendomi tuttavia trovato nella dimora de’ miei antenati — ciò che deve invero parere strano è quella specie d’immobilità, di inazione avvenuta nelle sorgenti della mia vita, — è quell’invertimento completo operatosi nel carattere de’ miei più comuni e semplici pensieri.

Le realtà delle umane cose m’impressionavano a guisa di visioni, e niente più che visioni — mentre, per lo contrario, le folli idee del paese dei sogni, le fantasime del soprannaturale e dello spiritismo, formavano non dirò l’ordinario alimento de’ giorni miei, ma quello positivo ed unico dell’intiera mia esistenza.

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Berenice ed io eravamo cugini, ed amendue venimmo su negli anni presso la casa paterna. Ma, crescendo, presto spiegammo disposizioni fisiche differenti: — io era sempre malaticcio e sepolto nella mia mestizia, — essa tutta agile, tutta grazia