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Narro una storia la cui essenza è piena d’orrore. E, per verità, la tacerei molto volentieri, se non fosse piuttosto una cronaca di sensazioni anzichè di fatti!

Egeo è il mio nome di battesimo; quello della famiglia, no’l dico. Non havvi in paese castello più ricco di gloria o vecchio d’anni della malinconica ed antica dimora de’ padri miei. Ivi da immemorabile tempo la mia famiglia era tenuta per una razza di visionarj; il fatto è, che in molte particolarità strane e meravigliose, — nel carattere della nostra casa feudale, negli affreschi della grande sala, — nelle tappezzerie delle camere, — — nelle cesellature delle colonne della sala d’armi, — e più specialmente nella galleria de’ vecchi quadri, — nella fisionomia della biblioteca; e, infine, nella natura tutta speciale degli oggetti di questa biblioteca, — in tutto questo, dico, vi era, e vi è in abbondanza di che giustificare quella credenza.

Le rimembranze de’ miei primi anni sono intimamente legate a questa sala e a’ suoi molti volumi, — di cui non farò più parola. È là dove morì mia madre; ed è là dov’io nacqui. — Riescirebbe molto inutile l’affermare che io non abbia vissuto anteriormente, che la mia anima non abbia esistito prima di questa vita. Lo neghereste voi? Capisco; questa non è materia di controversia. Convinto, io non cerco di convincere. Vi ha, d’altronde, tali ricordanze aeree, indistinte, indefinite, — quasi punti visivi e parlanti dell’intelletto, quasi echi melodiosi e mesti d’impercettibil lontano; ricordanze sempre svolazzanti, persistenti; specie di memoria simile ad