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essi, come credesi, furon auspici a’ maritaggi sinistri, certo, ripeto, lo sieno stati del mio.

Vi ha nondimeno un soggetto dilettissimo su cui la mia memoria non pigliasi gabbo; e questo soggetto è la persona di Ligeia.

Alta ella era, di statura lievemente esile, ed anco negli ultimi tempi per magrezza, spunta. Farei studio vano in dipingere la maestà, l’agevolezza solenne del suo incesso, la incomprensibil leggerezza ed elasticità de’ suoi passi. Veniva a me e da me dipartivasi leggiera sì come ombra; e del suo entrare nel mio studio io non m’accorgeva che per la ineffabil musica della sua voce, dolce e profonda, allor ch’ella posava la sua mano di marmo su la mia spalla. Nè mai beltà di femmina potè eguagliare la beltà del suo viso, mai! — del suo viso, nel quale splendeva il portento d’un sogno doppio, d’un sogno fascinante di peruviana coca; — specie di visione aerea e magnetizzatrice più stranamente celeste delle dorate larve volteggianti negli assopiti spiriti delle figlie di Delo.

E tuttavia le di lei fattezze non s’allineavano in que’ perfetti e regolari contorni, che vennero sempre falsamente proposti alla riverenza nostra nelle classiche opere del paganesimo. «Non v’ha beltà squisita (dice lord Verulam, parlando saggiamente di tutte le forme e di tutti i generi della beltà) senza un non so che di stranio nelle proporzioni. E nullameno, quantunque io vedessi che le fattezze di Ligeia non presentassero classica regolarità, sebben sentissi che la beltà sua fosse veracemente squisita, e fortemente penetrata di quella stranezza sì fatta, io mi studiava invano di scuoprire quella regolarità, invano mi studiavo di rilevare