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tro nel mio cuore, in modo cioè sì paziente, sì costante, sì furtivo ch’io nè men pigliai pensiero, nè potei serbarne coscienza.
Parmi tuttavia ch’ella sia stata da me incontrata per la prima volta, e molte altre dappoi, in un’ampia, antica e squallida città del Reno. Di sua famiglia (e questo ben so di certo) ella pur mi tenne discorso: ma e che n’ho io mai ritenuto? Tuttavia ho per fermissimo ch’essa contasse antiche origini, origini storicamente remote, remotissime... — Ligeia! Ligeia! — qual nome! — Assorto continuo in istudj per natura ed indole attissimi a cancellare le impressioni del mondo esterno, a me bastò questa sola semplice ma sì dolce parola Ligeia! per richiamarmi agli occhi del pensiero l’immagine di colei ch’è passata... Ed ora, ora, nell’atto che scrivo, a mo’ di debil chiarore da me non mai veduto, mi si affaccia il nome di famiglia di colei, che fu la mia amica e la mia fidanzata, che divenne la compagna de’ miei studj e dappoi la sposa del mio cuore; — debil chiarore fosforescente che trae l’occhio della mente nella densa tenebrìa de’ secoli lontani! — È egli tuttavia stato per un mero capriccio della mia Ligeia, — o fu una prova del mio forte affetto, ch’io non abbia assunto veruna notizia in proposito? O non piuttosto un mio ghiribizzo, uno strano e romantico sacrifizio sull’ara del culto il più appassionato? Io non rammento il fatto che in confuso: e v’ha egli quindi a far meraviglia se ho tutt’affatto dimenticato le circostanze che gli diedero vita e l’accompagnaron dappoi? Per verità m’è forza confessare che se lo spirito romanzesco o la pallida Ashtophet dell’idolatra Egitto, dalle ampie tenebrose ale, se mai