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ereditario rendevami ogni dì più intollerante a qualsiasi soperchieria e sindacato. Dapprima me ne lagnai sommesso, — esitai dappoi — e resistetti infine. Era egli un semplice atto d’immaginazione che mi facesse credere che la resistenza del mio carnefice sarebbe scemata in ragione della mia fermezza? Forse questo era possibile; ma in ogni caso io cominciava a sentire l’ispirazione di una ardente speranza, e finii per nudrire nel fondo dei miei pensieri la cupa e disperata risoluzione di liberarmi una volta in fine da quest’orribile schiavitù.
Nel carnovale del 18.... io mi trovava in Roma: — una sera mi era recato a un ballo in maschera nel palazzo del duca di Broglio, napoletano. Quella sera io aveva oltre il mio costume abusato di vini, e la soffocante ammosfera delle affollate sale mi irritava d’una maniera incomportabile. La stessa difficoltà di aprirmi un passo tra la folla contribuì non poco ad irritare e ad inasprire l’umor mio, poichè io andava febbrilmente in cerca (mi permetto di tacere a chi legge il poco onorevol motivo) della giovane, gaia e bellissima moglie del vecchio e stravagante duca di Broglio. In una sua confidenza poco prudente avevami ella aperto il segreto sul costume che avrebbe indossato; e siccome io l’aveva scorta da lungi, i miei sforzi erano tutti per arrivare a lei. Ed ecco, in questo stesso momento, sento una mano dolcemente posarmisi in su la spalla, — e quindi il notissimo, il profondo, il maledetto misterioso susurro nelle mie orecchie!
Preso di rabbia frenetica, bruscamente mi voltai verso chi con tanta indegnità mi aveva sturbato, e di botto lo presi violentemente pel collo. Come