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Wilson pe’ miei affari. E gli anni passavano, — passavano, ed io non aveva un istante di respiro. Sciagurato! — Con quale importuno ossequio, con quale tenerezza di spettro a Roma, e’ s’immise tra la mia ambizione e me! a Roma? — E a Vienna? — E a Berlino? — E a Mosca? Perchè dunque non troverò giuste ed amare ragioni di maledirlo dall’imo cuore? Preso d’un panico, io mi diedi infine alla fuga di fronte alla sua misteriosa tirannia, come se inseguito da peste, e fuggii...., fuggii sino agli estremi limiti della terra.....

Ma fuggii invano!

E sempre e poi sempre interrogando in segreto l’anima mia, ripeteva a me stesso: — Chi è desso? — Donde viene? — Quali sono i suoi disegni? — Ma l’anima non mi dava alcuna risposta. E allora mi poneva col maggiore studio a investigare le forme, il metodo, le fattezze singolari dell’insolente sua sorveglianza. Ma, e qui pure io non rinveniva gran che a fondare una qualche plausibile congettura. Ed era veramente degno di nota che, nelle moltissime circostanze in cui egli, pur di recente, mi si era messo contro sul cammino, sempre ci si fosse messo per attraversare disegni e spostare operazioni, la cui riuscita mi avrebbe costantemente tratto ad amari disinganni. — Meschina giustificazione però, questa, per un’autorità tanto imperiosamente usurpata! Risarcimento ben infelice ai miei diritti naturali di libero arbitrio, tanto accanitamente, tanto insolentemente violati!

Già da molto e molto tempo io aveva avuto motivi di notare che il mio carnefice, in quella che con esattezza ed accortezza miracolose obbediva alla mania di una toletta identica alla mia, si era