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dava il vino; ma qui mi accorsi con vivo stupore ch’essa aveva dato luogo a un pallor di morte. E dico con istupore, poichè io aveva preso sulla persona di Glendinning le informazioni più accurate. Mi era stato dipinto per un ricco sfondolato, tale che le somme sin qui perdute, sebbene realmente forti, non avrebbero potuto — almen secondo le mie supposizioni — seriissimamente sconcertarlo, e molto meno commuoverlo in modo violento. L’idea che più naturalmente presentossi al mio spirito, si fu che il vino gli perturbasse disgustosamente lo stomaco. Intanto, a salvare il mio carattere agli occhi degli amici, anzi che per motivo di interesse, io stava per insistere perentoriamente a che s’interompesse il giuoco, allorchè alcune parole profferite a mio fianco tra gli astanti, ed una esclamazione, disprezzantissima di Glendinning mi fecero capire ch’io aveva oprato la sua completa rovina, e messelo in condizione d’essere omai un oggetto di pietà per tutti, — tanto, che manco il diavolo gli avrebbe più potuto far danno.

Mi riuscirebbe assai difficile il dire quale condotta io avrei adottato in questa circostanza. La deplorabile condizione del mio avversario aveva desto in tutti gli astanti un’aria d’impaccio e di disgusto: da alcuni minuti dominava un silenzio perfetto, durante il quale sentiva quasi con dispetto formicolarmi le guancie sotto le divoratrici occhiate di sprezzo e di rimprovero che mi vibravano gli stessi più moderati della società; confesserò egualmente che, atteso la subitanea straordinaria interruzione seguitane, momentaneamente il mio cuore sentissi come sgravato da un insopportabile peso.

Ed ecco le pesanti imposte della porta spa-