Pagina:Pirandello - Quaderni di Serafino Gubbio operatore, Firenze, Bemporad, 1925.djvu/99

l’oggetto! Lei non ha coscienza che dell’oggetto! Dunque, religione. E il suo Dio è il cannocchiale! Lei crede che sia il suo strumento? Non è vero! Quello è il suo Dio, e lei lo venera! Lei è come Gubbio, qua, con la sua macchinetta! Il servitore... non voglio offenderla, dirò il sacerdote, il pontefice massimo, le basta? di quel suo Dio, e giura nel domma della sua infallibilità. Dov’è Gubbio? Viva Gubbio! viva Gubbio! Aspetti, non se ne vada, Senatore! Io sono venuto qua, questa mattina, per consolare un infelice. Gli ho dato convegno qua: già dovrebbe essere qua! Un infelice, mio compagno avventore dell’albergo del Falco... Non c’è miglior mezzo per consolare un infelice, che mostrargli e fargli toccar con mano che non è solo. E l’ho invitato qua, tra questi bravi amici artisti. È un artista anche lui! Eccolo qua! Eccolo qua! —

E l’uomo dal violino, lungo lungo, inarcocchiato e tenebroso, ch’io vidi or è più di un anno nell’ospizio di mendicità, si fece avanti, come assorto, al solito, a guardarsi i peli spioventi delle foltissime sopracciglia aggrottate.

Tutti fecero largo. Nel silenzio sopravvenuto, crepitò qualche scoppio di risa, qua e là. Ma lo stupore e un certo senso di ribrezzo teneva la maggior parte nel vedere quell’uomo avanzarsi a capo chino con gli occhi a quel modo assorti ai peli delle sopracciglia, quasi non volesse vedersi il naso carnuto e rosso, peso enorme e castigo della sua intemperanza. Più che mai, adesso, avanzandosi, pareva dicesse:

— Silenzio! Fate largo! Vedete come la vita può ridurre il naso d’un uomo? —