Pagina:Pirandello - Quaderni di Serafino Gubbio operatore, Firenze, Bemporad, 1925.djvu/83

Ahimè, povera bestia, non sa che qui le toccherà ben altro, che quello scherzo della «nozione vivente»!

Già è pronto lo scenario, di soggetto indiano, nel quale essa è destinata a rappresentare una delle parti principali. Scenario spettacoloso, per cui si spenderà qualche centinaio di migliaja di lire; ma quanto di più stupido e di più volgare si possa immaginare. Basterà darne il titolo: La donna e la tigre. La solita donna più tigre della tigre. Mi par d’avere inteso, che sarà una miss inglese in viaggio nelle Indie con un codazzo di corteggiatori.

L’India sarà finta, la jungla sarà finta, il viaggio sarà finto, finta la miss e finti i corteggiatori: solo la morte di questa povera bestia non sarà finta. Ci pensate? E non vi sentite torcer le viscere dall’indignazione?

Ucciderla, per propria difesa o per difesa dell’incolumità altrui, passi! Quantunque non da sè, per suo gusto, la belva sia venuta qua a esporsi in mezzo agli uomini, ma gli uomini stessi, per loro piacere, siano andati a catturarla, a strapparla dal suo covo selvaggio. Ma ucciderla così, in un bosco finto, in una caccia finta, per una stupida finzione, è vera nequizia che passa la parte! Uno dei corteggiatori, a un certo punto, sparerà contro un rivale a bruciapelo. Voi vedrete questo rivale traboccar giù, morto. Sissignori. Finita la scena, eccolo qua che si rialza, scotendosi dall’abito la polvere della piattaforma. Ma non si rialzerà più questa povera bestia, quando le avranno sparato. Porteranno via il bosco finto e anche, come un