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ciso. Ella non ne ha ucciso nessuno. Uno solo, per lei, si è ucciso, con le sue mani: Giorgio Mirelli; ma non per lei solamente.

La belva, intanto, che fa male per un bisogno della sua natura, non è — che si sappia — infelice.

La Nestoroff, come per tanti segni si può argomentare, è infelicissima. Non gode della sua malvagità, pure con tanto calcolo e con tanta freddezza esercitata.

Se dicessi apertamente questo ch’io penso di lei a’ miei compagni operatori, agli attori, alle attrici della Casa, tutti sospetterebbero subito che mi sia anch’io innamorato della Nestoroff.

Non mi curo di questo sospetto.

La Nestoroff ha per me, come tutti i suoi compagni d’arte, un’avversione quasi istintiva. Non la ricambio affatto perchè con lei io non vivo, se non quando sono a servizio della mia macchinetta, e allora, girando la manovella, io sono quale debbo essere, cioè perfettamente impassibile. Non posso nè odiare nè amare la Nestoroff, come non posso odiare nè amare nessuno. Sono una mano che gira la manovella. Quando poi, alla fine, sono reintegrato, cioè quando per me il supplizio d’esser soltanto una mano finisce, e posso riacquistare tutto il mio corpo, e meravigliarmi d’avere ancora su le spalle una testa, e riabbandonarmi a quello sciagurato superfluo che è pure in me e di cui per quasi tutto il giorno la mia professione mi condanna a esser privo; allora... eh, allora gli affetti, i ricordi che mi si ridestano dentro, non sono tali certo, che possano persuadermi ad amare questa donna. Fui amico di Giorgio Mirelli e tra le più