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mezz’ora, un’ora; cominciate a stancarvi e togliete di tasca il giornale comperato prima di partire, alla stazione. A un certo punto, avvertite come un frullo d’ali fra l’intrico dei rami nella macchia; lasciate il giornale; vi avvicinate cheto e chinato; prendete la mira; sparate. Oh gioja! Un beccaccino!

Sì, proprio un beccaccino. Proprio quel beccaccino esploratore, che aveva lasciato i compagni nella fratta.

So che voi non mangiate la caccia: la regalate agli amici: per voi tutto è qui, nel piacere d’uccidere quella che chiamate selvaggina.

La giornata non promette bene. Ma voi, come tutti i cacciatori, siete un po’ superstizioso: credete che la lettura del giornale vi abbia portato fortuna, e ritornate a leggere il giornale al posto di prima. Nella seconda pagina trovate la notizia, che il vostro amico ingegnere, andato in Africa per conto della Società Geografica, attraversando quelle tali plaghe selvagge e deserte, è morto sciaguratamente: assaltato, sbranato e divorato da una belva.

Leggendo con raccapriccio la narrazione del giornale, non vi passa neanche lontanamente per il capo di porre il paragone tra la belva, che ha ucciso il vostro amico, e voi, che avete ucciso il beccaccino, esploratore come lui.

Eppure, starebbe perfettamente nei termini, e temo anzi con qualche vantaggio per la belva, perchè voi avete ucciso per piacere e senz’alcun rischio per voi d’essere ucciso; mentre la belva, per fame, cioè per bisogno, e col rischio d’essere