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assaporato l’orrore, con la stupida finzione che il Polacco era venuto a iscenarvi.

Ma il disgusto, forse, lo sento adesso. Quella mattina, dovevo avere più che altro curiosità d’assistere per la prima volta all’iscenatura d’una cinematografia. Pure la curiosità, a un certo punto, mi fu distratta da una di quelle attrici, la quale, appena intravista, me ne suscitò un’altra assai più viva.

La Nestoroff... Possibile? Mi pareva lei e non mi pareva. Quei capelli d’uno strano color fulvo, quasi cupreo, il modo di vestire, sobrio, quasi rigido, non erano suoi. Ma l’incesso dell’esile elegantissima persona, con un che di felino nella mossa dei fianchi; il capo alto, un po’ inclinato da una parte, e quel sorriso dolcissimo su le labbra fresche come due foglie di rosa, appena qualcuno le rivolgeva la parola; quegli occhi stranamente aperti, glauchi, fissi e vani a un tempo, e freddi nell’ombra delle lunghissime ciglia, erano suoi, ben suoi, con quella sicurezza tutta sua, che ciascuno, qualunque cosa ella fosse per dire o per chiedere, le avrebbe risposto di sì.

Varia Nestoroff... Possibile? Attrice d’una Casa di cinematografia?

Mi balenarono in mente Capri, la Colonia russa, Napoli, tanti rumorosi convegni di giovani artisti, pittori, scultori, in strani ridotti eccentrici, pieni di sole e di colore, e una casa, una dolce casa di campagna, presso Sorrento, dove quella donna aveva portato lo scompiglio e la morte.

Quando, ripetuta per due volte la scena per cui la compagnia era venuta in quell’asilo, Cocò Po-