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— Amico! amico! — lo chiamò Simone Pau. Quegli si fece avanti, tenendo il capo chino e sospeso, come se gli pesasse enormemente il naso rosso e carnuto; e pareva dicesse, avanzandosi:

— Fate largo! fate largo! Vedete come la vita può ridurre il naso d’un uomo? —

Simone Pau gli s’accostò; amorevolmente con una mano gli sollevò il mento; gli battè l’altra su la spalla, per rinfrancarlo, e ripetè:

— Amico mio! —

Poi, rivolgendosi a me:

— Serafino — disse, — ti presento un grande artista. Gli hanno appiccicato un nomignolo schifoso; ma non importa: è un grande artista. Ammìralo: qua, col suo Dio sotto il braccio! Potrebbe essere una scopa: è un violino. —

Mi voltai a osservar l’effetto delle parole di Simone Pau sul viso dello sconosciuto. Impassibile. E Simone Pau seguitò:

— Un violino, per davvero. E non lo lascia mai. Anche i custodi qua gli concedono di portarselo a letto, a patto che non suoni di notte e non disturbi gli altri ricoverati. Ma non c’è pericolo. Càvalo fuori, amico mio, e mostralo a questo signore, che ti saprà compatire. —

Quegli mi spiò prima con diffidenza; poi, a un nuovo invito di Simone Pau, trasse dalla custodia il vecchio violino, un violino veramente prezioso, e lo mostrò, come un monco vergognoso può mostrare il suo moncherino.

Simone Pau riprese, rivolto a me:

— Vedi? Te lo mostra. Grande concessione, di cui devi ringraziarlo! Suo padre, molti anni or