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Che sciocchi tutti coloro che, sentendo definir la donna «la nemica», vi rinfacciano subito: — «Ma vostra madre? le vostre sorelle? le vostre figliuole?» come se per l’uomo, che in questo caso è figlio, fratello, padre, quelle fossero donne! Che donne? Nostra madre? Bisogna che mettiamo nostra madre di fronte a nostro padre, come le nostre sorelle o le nostre figliuole di fronte ai loro mariti; allora sì la donna, la nemica verrà fuori! C’è più per me di quella mia cara povera piccina? Ma io non ho la minima difficoltà ad ammettere, signor Gubbio, che anche lei, sicuro, la mia Sesè possa diventare, come tutte le altre donne di fronte all’uomo, la nemica. E non c’è bontà, non c’è remissione che tenga, creda! Quando, a uno svolto di strada, lei incontra proprio quella, quella che dico io, la nemica: ecco qua, tra due sta: o lei la ammazza, o lei si riduce come me! Ma quanti sono capaci di ridursi come me? Mi lasci almeno questa magra soddisfazione di dire pochissimi, signor Gubbio, pochissimi! —

Io gli rispondo che sono pienamente d’accordo.

— D’accordo? — mi domanda allora Cavalena, con sorpresa che s’affretta a dissimulare, per il timore ch’io possa per questa sorpresa indovinare il suo giuoco. — D’accordo? —

E mi guarda timidamente negli occhi, come a sorprendere il momento di scivolare, senza guastar quest’accordo, dalla considerazione astratta al caso concreto. Ma qua l’arresto subito.

— Oh Dio, ma perchè, — gli domando, — vuol credere per forza in un così fiero impegno della signora Nestoroff d’essere la nemica del signor Nuti?