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— Ma se io sono venuto lo stesso!

— Da estraneo.

— No, signora. Guardi, io ho fatto più di quanto ella non creda. Ho parlato a lungo con quel disgraziato e ho cercato di dimostrargli in tutti i modi che non ha nulla da pretendere, dopo quanto è accaduto, almeno secondo quello ch’egli stesso dice.

— Che v’ha detto? — domandò la Nestoroff, impuntandosi e infoscandosi.

— Molte stupidaggini, signora, — risposi. — Farnetica. Ed è da temere, creda, tanto più, in quanto è incapace, secondo me, di qualunque sentimento veramente serio e profondo. Lo dimostra, già, il fatto che sia venuto qua con certi propositi...

— Di vendetta?

— Non propriamente di vendetta. Non lo sa neppur lui! È un po’ il rimorso... un rimorso che non vorrebbe avere; di cui avverte solo superficialmente il pungolo irritante, perchè, ripeto, è incapace anche d’un pentimento vero, d’un pentimento sincero, che potrebbe maturarlo, farlo rinsavire. È dunque un po’ l’irritazione di questo rimorso, intollerabile; un po’ la rabbia, o piuttosto (la rabbia sarebbe troppo forte per lui) diciamo la stizza, una stizza acerba, non confessata, di essere stato abbindolato...

— Da me?

— No. Non vuole confessarlo!

— Ma voi lo credete?

— Io credo, signora, che ella non lo abbia mai preso sul serio e si sia servita di lui per staccarsi da... —