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prova (speriamo, non anche caparra!) di un’altra vita oltre la terrena; ma, stando così le cose su la terra, mi par proprio d’aver ragione quando dico ch’essa è fatta più pe’ bruti che per gli uomini.

Non vorrei esser frainteso. Intendo dire, che su la terra l’uomo è destinato a star male, perchè ha in sè più di quanto basta per starci bene, cioè in pace e pago. E che sia veramente un di più, per la terra, questo che l’uomo ha in sè (e per cui è uomo e non bruto), lo dimostra il fatto, ch’esso — questo di più — non riesce a quietarsi mai in nulla, nè di nulla ad appagarsi quaggiù, tanto che cerca e chiede altrove, oltre la vita terrena, il perchè e il compenso del suo tormento. Tanto peggio poi l’uomo vi sta, quanto più vuole impiegare su la terra stessa in smaniose costruzioni e complicazioni il suo superfluo.

Lo so io, che giro una manovella.

Quanto al mio amico Simone Pau, il bello è questo: che crede d’essersi liberato d’ogni superfluo, riducendo al minimo tutti i suoi bisogni, privandosi di tutte le comodità e vivendo come un lumacone ignudo. E non s’accorge che, proprio all’opposto, egli, così riducendosi, s’è annegato tutto nel superfluo e più non vive d’altro.

Quella sera, appena giunto a Roma, io ancora non lo sapevo. Lo conoscevo, ripeto, di costumi singolarissimi e spregiudicati, ma non avrei potuto mai immaginare, che la singolarità sua e la sua spregiudicatezza arrivassero fino al punto che dirò.