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— Vuole che vada via sola? — minacciò con rabbia la signorina Luisetta.

— Vorrei, — le risposi, dolente, — che almeno si calmasse, prima, un poco.

— Mi calmerò per via, — disse. — Andiamo, andiamo!

E, poco dopo, montati in vettura in capo a via Veneto, soggiunse:

— Vedrà, del resto, che troveremo certamente papà alla Kosmograph. —

Perchè volle aggiungere questa considerazione? Per liberarmi del pensiero della responsabilità che mi faceva assumere, obbligandomi ad accompagnarla? Dunque non è ben sicura d’esser libera d’agire a suo talento. Difatti, subito riprese:

— Le pare una vita possibile?

— Ma se è una manìa! — le feci notare. — Se è, come dice suo papà, una forma tipica di paranoja?

— Va bene, sì, ma appunto per questo! È possibile vivere così? Quando si hanno di queste disgrazie, non ci può esser più casa; non c’è più famiglia; più nulla. È una continua violenza, una disperazione, creda! Non se ne può più! Che c’è da fare? che c’è da impedire? Chi scappa di qua, chi di là. Tutti vedono, tutti sanno. La nostra casa è aperta. Non c’è più nulla da custodire! Siamo come in piazza. È una vergogna! una vergogna! Del resto, chi sa! forse così, opponendo violenza a violenza, ella si scoterà da questa manìa che sta facendo impazzire tutti! Per lo meno, farò qualche cosa... vedrò, mi muoverò... mi scoterò anch’io da quest’avvilimento, da questa disperazione! —