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mostrandole attraverso gli strappi le crudezze più nauseose della vita coniugale.

Le hanno impedito, intanto, di procurarsi altrimenti la libertà, i mezzi di bastare fin da ora a se stessa, da potersene andare lontano da questa casa, per conto suo. Le avranno detto che, grazie a Dio, non ne ha bisogno, lei: figlia unica, avrà per sè domani la dote della mamma. Perchè avvilirsi a far la maestra o attendere a qualche altro ufficio? Può leggere, studiare quel che le piace, sonare il pianoforte, ricamare, libera in casa sua.

Bella libertà!

L’altra sera, sul tardi, quando tutti abbiamo lasciato la camera del Nuti già addormentato, l’ho vista seduta nel balconcino. Stiamo nell’ultima casa di via Veneto, e abbiamo davanti l’aperto di Villa Borghese. Quattro balconcini all’ultimo piano, sul cornicione della casa. Cavalena stava seduto a un altro balconcino, e pareva assorto a guardare le stelle.

A un tratto, con una voce che arrivò come da lontano, quasi dal cielo, soffusa d’un accoramento infinito, gli ho sentito dire:

— Sesè, vedi le Plejadi? —

Ella ha finto di guardare: forse aveva gli occhi pieni di lagrime.

E il padre:

— Eccole là... sul tuo capo... quel gruppetto di stelle... le vedi? —

Gli fe’ cenno di sì, che le vedeva.

— Belle, no, Sesè? E vedi là Capella, come arde? —

Le stelle... Povero papà! bella distrazione...