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Ahimè, com’è ridotta anche lei, la dolce infermiera! Ma nessuno se ne dà pensiero; meno di tutti, lei stessa. Eppure la medesima tempesta ha schiantato e travolto quest’innocente!

È stato uno strazio, di cui ancora forse neppur lei sa rendersi conto, perchè ancora forse ella non ha con sè, dentro di sè la propria anima. L’ha data a lui, come cosa non sua, come una cosa ch’egli nel delirio si potesse appropriare per averne refrigerio e conforto.

Io ho assistito a questo strazio. Non ho fatto nulla, nè forse avrei potuto far nulla per impedirlo. Ma vedo e confesso che ne sono rivoltato. Il che vuol dire che il mio sentimento è compromesso. Temo infatti che, presto, dovrò fare a me stesso un’altra confessione dolorosa.

È avvenuto questo: che il Nuti, nel delirio, ha scambiato la signorina Luisetta per Duccella, e, dapprima, ha inveito furibondo contro di lei, gridandole in faccia ch’era iniqua la sua durezza, la sua crudeltà per lui, non avendo egli nessuna colpa nell’uccisione del fratello, il quale da sè, come uno stupido, come un pazzo, s’era ucciso per quella donna; poi, appena ella, vinto il primo terrore, intendendo a volo l’allucinazione dell’infermo, gli s’è accostata pietosa, non ha più voluto lasciarla un momento, se l’è tenuta stretta a sè, singhiozzandole perdutamente o mormorandole le parole più cocenti e più tènere d’amore, e carezzandola o baciandole le mani, i capelli, la fronte.

Ed ella ha lasciato fare. E tutti gli altri han lasciato fare. Perchè quelle parole, quelle carezze, quegli abbracci, quei baci, non erano mica per lei: