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nato di vederlo nello stato in cui gli è apparso d’improvviso, inopinatamente, perchè dalle lettere di lui, prima dalla Russia, poi dalla Germania, poi dalla Svizzera, non c’era da argomentarlo. Voleva mostrarmele, per sua giustificazione; ma poi, tutt’a un tratto se n’è dimenticato. L’annunzio della malattia l’ha quasi rallegrato o, per lo meno, sollevato da un gran peso, per il momento.

— Infiammazione cerebrale? Oh senti, Gubbio, se morisse... Perdio, quando un uomo si riduce a questi estremi, quando diventa pericoloso a sè e agli altri, la morte... quasi quasi... Ma speriamo di no; speriamo che invece sia una crisi salutare. Tante volte, chi sa! Mi dispiace tanto per te, povero Gubbio, e anche per quel povero Cavalena... Questa tegola... Verrò, verrò stasera a trovarvi. Ma è provvidenziale, sai? Qua finora, tranne te, non lo ha veduto nessuno; nessuno sa che è arrivato. Silenzio con tutti, eh? M’hai detto che sarebbe prudente togliere al Ferro la parte nel film della tigre.

— Ma senza fargli capire...

— Bambino! Parli con me. Ho pensato a tutto. Guarda: jersera, poco dopo che siete andati via vojaltri, è venuta da me la Nestoroff.

— Ah sì? Qua?

— Deve aver fiutato in aria che il Nuti è arrivato. Caro mio, ha una gran paura! Paura del Ferro, non del Nuti. È venuta a domandarmi... così, come se nulla fosse, se era proprio necessario che ella seguitasse a venire alla Kosmograph, e anche a stare a Roma, dal momento che, tra poco, tutt’e quattro le compagnie saranno impe-