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della propria sciagura, l’uomo è finito! Ma io non l’avrei perduto, questo pudore! Ero così geloso della mia dignità! Me l’ha fatto perdere questa donna, gridando la sua follia. La mia sciagura è nota a tutti, oramai! Ed è oscena, oscena, oscena.

— Ma no... perchè?

— Oscena! — gridò Cavalena. — Vuol vederla? Guardi! Eccola qua! —

E, in così dire, s’acciuffò con due dita la parrucca e se la tirò su dal capo. Restai, quasi atterrito, a mirare quel cranio nudo, pallido, di capro scorticato, mentre Cavalena, con le lagrime agli occhi, seguitava:

— Può non essere oscena, dica lei, la sciagura d’un uomo ridotto così e di cui la moglie sia ancora gelosa?

— Ma se lei è medico! se lei sa che è una malattia! — m’affrettai a dirgli, afflitto, alzando le mani quasi per ajutarlo subito a ricalcarsi sul capo quella parrucca.

Se la ricalcò, e disse:

— Ma appunto perchè sono medico e so che è una malattia, signor Gubbio! Questa è la sciagura! che sono medico! Se potessi non sapere ch’ella lo fa per pazzia, io la caccerei fuori di casa, vede? mi separerei da lei, difenderei ad ogni costo la mia dignità. Ma sono medico! so che è pazza! e so dunque che tocca a me d’aver ragione per due, per me e per lei che non l’ha più! Ma avere ragione, per una pazza, quando la pazzia è così supremamente ridicola, signor Gubbio, che significa? significa coprirsi di ridicolo, per forza! significa rassegnarsi a sopportare lo strazio che que-