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— Non lo so, non lo so — m’ha gridato. — Deve stare con me, deve soffrire con me. Io non posso più farne a meno, io non posso più star solo, così. Ho cercato finora, ho fatto di tutto per vincere Duccella; ho messo tanti amici di mezzo; ma capisco che non è possibile. Non credono al mio strazio, alla mia disperazione. E ora io ho bisogno, bisogno d’aggrapparmi a qualcuno, di non essere più così solo. Lei lo capisce: impazzisco, impazzisco! So che non val nulla quella donna; ma le dà prezzo ora tutto quello che ho sofferto e soffro per lei. Non è amore, è odio, è il sangue che s’è versato per lei! E poichè s’è voluto affogare in questo sangue per sempre la mia vita, bisogna ora che vi stiamo tuffati tutti e due insieme, aggrappati, io e lei, non io solo! Non posso più star solo così! —

Sono uscito dalla sua stanza, senza neanche il piacere d’avergli offerto uno sfogo che potesse alleggerirgli un po’ il cuore. Ed ecco che io ora posso aprire la finestra e mettermi a contemplare il cielo, mentr’egli di là si strazia le mani e piange, divorato dalla rabbia e dal cordoglio. Se rientrassi di là, nella sua stanza, e gli dicessi con gioja: «Signor Nuti, sa? ci sono le stelle! Lei certo se n’è dimenticato; ma ci sono le stelle!», che avverrebbe? A quanti uomini, presi nel gorgo d’una passione, oppure oppressi, schiacciati dalla tristezza, dalla miseria, farebbe bene pensare che c’è, sopra il soffitto, il cielo, e che nel cielo ci sono le stelle. Anche se l’esserci delle stelle non ispirasse loro un conforto religioso. Contemplandole, s’inabissa la nostra inferma piccolezza, spa-