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precaria e incerta, che non è più per lui. Del resto, non ha pur diritto d’avere anche pietà di sè? Chi l’ha ridotto in quelle condizioni? Può all’età sua riprendere la vita, dopo averne reciso tutte le fila, dopo essersi privato di tutti i mezzi, per contentare la moglie? E, in fin de’ conti, va a rinchiudersi in galera!

Ha così dipinta, il pover’uomo, in tutto l’aspetto la grande sciagura ond’è oppresso, la dà tanto a vedere con l’impaccio d’ogni passo, d’ogni sguardo, quand’ha accanto la moglie, per la costernazione assidua, ch’ella in quel passo, in quel gesto, in quello sguardo non abbia a trovar pretesto per una scenata, che non si può fare a meno, pur commiserandolo, di ridere di lui.

E forse ne avrei riso anch’io, questa mattina, se non ci fosse stata lì la signorina Luisetta. Chi sa quanto soffre dell’inevitabile ridicolaggine del padre, quella povera figliuola!

Un uomo di quarantacinque anni, ridotto in quello stato, di cui la moglie sia ancora così ferocemente gelosa, non può non essere enormemente ridicolo! Tanto più poi, in quanto per un’altra sciagura nascosta, un’oscena calvizie precoce, dovuta a un’infezione tifoidea, di cui potè salvarsi per miracolo, il pover’uomo è costretto a portar quella parrucca artistica sotto un cappellaccio capace di sostenerla. La spavalderia di questo cappellaccio e di tutti quei cernecchi arricciolati, contrasta così violentemente con l’aria spaurita, scontrosa e circospetta del viso, che è veramente una rovina per la sua serietà, e anche, certo, un continuo crepacuore per la figliuola.