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— So che lei è stato amico d’un certo pittore, che s’uccise a Napoli.

— Sì. Ebbene?

— Ebbene, lei che s’è trovato in mezzo a questa faccenda...

— Io? Ma nient’affatto! chi gliel’ha detto? io ne so quanto lei; forse meno di lei.

— Ma conoscerà questo signor Nuti!

— Nient’affatto! Lo vidi, parecchi anni fa, giovanotto, una o due volte, non più. Non ho mai parlato con lui.

— Cosicchè...

— Cosicchè, caro signore, non conoscendo questo signor Nuti, e seccato di vedermi da alcuni giorni guardato male da lei per il sospetto ch’io mi sia immischiato o voglia immischiarmi in codesta faccenda; poco fa, non volevo che lei mi raggiungesse e ho accelerato il passo. Eccole spiegata «la mia fuga». È contento? —

Con subitaneo cangiamento Carlo Ferro mi tese la mano, commosso:

— Posso aver l’onore e il piacere d’essere suo amico? —

Gli strinsi la mano e risposi:

— Lei sa bene, che sono di fronte a lei così poca cosa, che l’onore sarà mio. —

Carlo Ferro si scrollò come un orso:

— Non dica! Non dica! Lei è uno che sa il fatto suo, a preferenza di tutti gli altri; sa, vede e non parla... Che mondaccio, signor Gubbio, che mondaccio è questo! che schifo! Ma pajono tutti... che so! Ma perchè si dev’essere così? Mascherati! Mascherati! Mascherati! Me lo dica lei! Perchè, appena