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tura, che non me n’importa un corno; ma perchè io non sono mai fuggito di fronte a nessuno!

Così dicendo, mi prese la giacca sul petto, con due dita, e me la scosse un po’.

— Permette? — dissi io, a mia volta, con calma, levandogli quella mano; e presi dalla tasca una scatola di fiammiferi: ne accesi uno per la sigaretta che avevo già cavato dell’astuccio e tenevo in bocca; trassi due boccate di fumo, rimasi ancora un po’ col fiammifero acceso tra le dita, per fargli vedere che le sue parole, il tono minaccioso, il fare aggressivo non mi cagionavano il minimo turbamento; poi risposi, piano: — Potrei anche aver capito a che cosa ella voglia alludere; ma, ripeto, non intendo perchè viene a dire proprio a me codeste cose.

— Non è vero! — gridò allora Carlo Ferro. — Lei finge di non intendere! —

Pacatamente, ma con voce ferma, risposi:

— Non ne vedo la ragione. Se lei, caro signore, vuol provocarmi, sbaglia; non solo perchè senza motivo, ma anche perchè, precisamente come lei, io non soglio fuggire di fronte a nessuno.

— Come no? — sghignò egli allora. — Ho dovuto correr tanto per raggiungerla! —

Scoppiai in una franca risata:

— Oh, ma guarda! ha creduto davvero ch’io fuggissi? S’inganna, caro signore, e gliene do subito la prova. Lei forse sospetta ch’io abbia avuto qualche parte nella prossima venuta di qualcuno che le dà ombra?

— Nessuna ombra!

— Tanto meglio. Per codesto sospetto, ha potuto credere ch’io fuggissi?