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chiamasse. Difatti... Mi voltai, come sorpreso. Egli mi raggiunse e con mal dissimulato dispetto mi domandò:

— Permette?

— Dica pure.

— Va a casa?

— Sì.

— Abita lontano?

— Parecchio.

— Voglio dirle una cosa, — ripetè, e si fermò a guardarmi con bieco lustro negli occhi. — Lei dovrebbe sapere che, grazie a Dio, posso sputare su la scrittura, che ho qua con la Kosmograph. Un’altra, come questa, meglio di questa, la trovo subito, appena voglio, dovunque, per me e per la mia signora. Lo sa o non lo sa? —

Sorrisi; mi strinsi nelle spalle:

— Posso crederlo, se le fa piacere.

— Può crederlo, perchè è così! — ribattè forte, in tono di provocazione e di sfida.

Tornai a sorridere; dissi:

— Sarà pure così; ma non vedo perchè venga a dirlo a me, e con codesto tono.

— Ecco perchè, — riprese — Io rimango, caro signore, alla Kosmograph.

— Rimane? Guardi: non sapevo nemmeno che avesse in animo di andarsene.

— Altri lo aveva in animo, — ripigliò Carlo Ferro, pigiando con la voce su altri — Ma io le dico che rimango: ha capito?

— Ho capito.

— E rimango, non perchè m’importi della scrit-