Pagina:Pirandello - Novelle per un anno, Volume X - Il vecchio Dio, Firenze, Bemporad, 1926.pdf/145


XI. — Le tre carissime. 135

qualche abito nuovo, già pronte per recarsi o in casa di famiglie amiche o a teatro, si accorgevano tutt’e tre del desiderio che suscitavano in noi; e per il nostro desiderio segreto, ma sfavillante dagli occhi, avevano uno sguardo e un sorriso indefinibile, di compiacimento per sè e di pietà per noi. Irene intendeva più di tutte e arrossiva confusa e, a cancellare la confusione, ci domandava con una grazia indicibile, guardandosi l’abito:

— Siamo belle così? —

Oh, potrei fare, su questo proposito, un lungo discorso su quel che gli occhi dicono, quando le labbra non debbono parlare. Allorchè Carlotta, per esempio, attendeva quasi per scrupolo di coscienza a qualche imbecille che le stava attorno con soverchia insistenza, spesso parlandogli o ridendogli, volgeva uno sguardo a me, e quello sguardo mi compassionava amorosamente; mi diceva:

Dovresti esser tu!

Perchè gli occhi di Carlotta vi assicuro che mi davano del tu.

Delle tre, Carlotta, era la più bella, almeno per me; Irene, la più intelligente; Giorgina la più piacente.

Il ritratto che feci di loro a gruppo, è certo la meno peggio delle cose mie. Lo esposi a Monaco, tanti anni fa, col titolo: Le tre carissime. Fu venduto e ora non so più chi lo possegga e dove sia andato a finire.

Con me e col Tranzi, nessuna ipocrisia, mai! Quando, in teatro, vedevamo qualcuna di loro più del solito raggiante, bastava farle un cenno del capo, perchè intendesse. E il cenno significava:

— Abbiamo trovato?