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46 | Novelle per un anno. |
Lo scorse sbadatamente; poi si cacciò una mano in tasca, ne trasse un mazzetto di chiavi, aprì un cassetto dello stipo accanto alla scrivania, ne prese una carta, la pose accanto al foglio, e su questo con un lapis turchino si mise a far brevi segni di richiamo, a mano a mano che leggeva in quella. Quand’ebbe terminato, senza dir nulla, porse a don Filiberto Fiorinnanzi il suo foglio segnato e quella carta tratta dallo stipo.
Don Filiberto, perplesso, imbalordito, guardò l’uno e l’altra, poi il Marchese, poi di nuovo il suo foglio e quella carta, e s’accorse che in questa erano già esposti, quasi con lo stesso ordine, tutti i furti dello Zezza, ch’egli era venuto a denunziare.
— Ah, dunque.... — disse, appena potè rinvenire dallo sbalordimento, — ah, dunque a Vostra Signoria.... a Vostra Signoria Illustrissima.... erano già noti....
— Come vede, — lo interruppe freddamente il Marchese. — E anzi, se ella guarda più attentamente nella mia carta, vedrà che ci son noverati molti altri furti che non si trovano nella sua denunzia.
— Già.... già.... vedo.... vedo.... — riconobbe più che mai smarrito nello stupore, don Filiberto. — Ma dunque.... —
Il piccolo Marchese tornò ad appoggiare il gomito sul bracciuolo e a nascondersi con la mano l’occhio sano, stanco e svogliato.
— Caro signore, — sospirò, — e che vuole che me n’importi? —
La terribile fissità dell’occhio di vetro, armato della caramella cerchiata di tartaruga, fece un contrasto orribile con la stanchezza di questo sospiro.