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III. — Il bottone della palandrana. | 43 |
compiacque assai e le approvò tutte e vi si sottomise con infiniti inchini e sorrisi di beatitudine.
Era il regno dell’ordine, quello! L’interno d’un orologio. Tutto lucido e preciso. Usceri in livrea; scale di marmo, corridoj da potercisi specchiare, con magnifiche guide, illuminati a luce elettrica, riscaldati a termosifone; e per tutto tabelle: Sezione I, Sezione II, Sezione III, e a ogni uscio l’indicazione dell’ufficio. L’illustrissimo signor Marchese non concedeva udienza se non nei giorni fissati e nelle ore fissate: il mercoledì e il sabato, dalle 10 alle 11: e, per essere ammessi a quelle udienze, bisognava farne domanda due giorni avanti, riempiendo un modulo a stampa sul primo tavolino della seconda stanza della segreteria particolare, al primo piano, Sezione I, secondo corridojo a destra. Per chi avesse fretta e non potesse aspettare quei giorni fissati, c’era l’ufficio delle comunicazioni urgenti, nello stesso piano, alla stessa Sezione, primo corridojo a sinistra, uscio terzo.
— No no, ah no no.... — disse don Filiberto.
Le comunicazioni, ch’egli aveva da fare, non erano tanto urgenti quanto gravi, e voleva farle al Marchese direttamente.
— Viene apposta da Forni? — gli domandò il capo-uscere.
— Sissignore, da Forni, apposta.
— Ma oggi è giovedì.
— Non fa nulla. Se questa è la regola, aspetterò fino a sabato, alle dieci.
Il capo-uscere si rivolse allora a un ragazzotto anch’esso in livrea.
— Va’ su a prendere un modulo! —
Ma don Filiberto Fiorinnanzi non volle assolutamente permetterlo.