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42 Novelle per un anno.

delle più estese e ubertose tenute del mezzogiorno d’Italia. Non era mai venuto neppure una volta a visitarla, è vero; ma il merito dell’amministrazione era suo. La tenuta era divisa in settori; ogni settore, con a capo un ministro, comprendeva dieci poderi. Uno dei ministri era Meo Zezza.

Come mai una così specchiata amministrazione non si rendeva conto dei furti continuati e così esorbitanti di quel cagliostro? Saltavano agli occhi di di tutti; e lui stesso lo Zezza, lui stesso, con la sua espansiva spontaneità di bestia impudente, quasi non ne faceva più mistero.

Levatosi la mattina appresso, con negli occhi ancora il fischio di quella parola: spia, don Filiberto Fiorinnanzi fece animo risoluto. Serrò i denti; serrò le pugna. Doveva aver fine, perdio, una così enorme sconcezza, una siffatta oltracotanza.

Spia? Ebbene, sì, spia. Raccoglieva la sfida. Avrebbe steso una formale denunzia di tutti i furti perpetrati da colui in tanti anni.

Ci lavorò una diecina di giorni. Quando alla fine ne venne a capo, si chiuse più rigidamente che mai nell’austera palandrana, e senza punto nascondersi, con la denunzia sotto il braccio, prese posto nella vettura che conduceva alla stazione ferroviaria, e partì per la città.

Appena giunto, si recò difilato all’amministrazione del marchese Di Giorgi-Decarpi.

Subito, entrando, si sentì compreso di tanta riverenza e ammirazione, che non solo non si ebbe a male delle molte difficoltà che gli furono opposte per esser ricevuto dal signor Marchese, ma anzi se ne