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III. — Il bottone della palandrana. | 39 |
s’appressava e, con un lustro sguajato negli occhi e nei denti, accennava con le manacce paffute e pelose di toccarlo qua e là.
Rigido, interito, egli aveva schivato quei toccamenti, e con una grave opaca durezza di sguardo nei grossi occhi sempre un po’ ingialliti dalle continue bili che si pigliava, gli aveva chiaramente significato, che s’era accorto e sapeva.
— Ladro.... ladro.... — andava ancora ripetendo aggirandosi per la stanza, in maniche di camicia, e tastando qua e là con dita ignare e malferme questo e quell’oggetto.
Alla fine sedette stanco morto, appiè del letto, e si mise a guardare la candela, come se gli paresse strano che essa quietamente ardesse sul comodino da notte e lo invitasse, come ogni sera, ad andare a letto.
Non si ricordava d’averla accesa.
Finì di spogliarsi; si cacciò sotto le coperte; ma per quella notte non potè chiudere occhio.
⁂
Da molti anni, dopo molte e intricatissime meditazioni, credeva d’essere riuscito a darsi una spiegazione sufficiente di tutte le cose; a sistemarsi insomma il mondo per suo conto; e pian piano s’era messo a camminarci dentro, non molto sicuro, no, anzi con l’animo sempre un po’ sospeso e pericolante, nell’aspettativa d’una qualche improvvisa violenza, che glielo buttasse all’aria tutt’a un tratto, sgarbatamente.
S’era da un pezzo costituito esempio a tutti di compostezza e di misura, nel trattar gli affari, nelle