![]() |
Questa pagina è stata trascritta e formattata, ma deve essere riletta. | ![]() |
Al levarsi della tela si vedrà Mop su un’ampia poltrona, in un curioso pigiama di seta, nero e fiorito d’orchidee, tutta aggruppata e rovesciata su uno dei braccioli, il volto nascosto. Pare che dorma. Piange. Ha i capelli tagliati maschilmente e la faccia (allorché la mostrerà) segnata d’un che d’ambiguo che fa ribrezzo e, insieme, di un che di tragico che turba profondamente. Sopravviene, poco dopo, dall’arco di destra, Carl Salter, eccitato e sconvolto. Ha cinquant’anni. Faccia gonfia, pallida, con occhi chiari, quasi bianchi, tra le borse annerite. Un po’ calvo alla sommità, ha poi il cranio preso da una violenza ferrigna di capelli ricci, corti. Tutto raso, avventa il tumido delle labbra sensualissime. È in una ricca veste da camera. Le mani in tasca.
Salter. È qua coi soliti. L’ho vista dalla finestra.
Pronunziando l’ultima frase, trae inavvertitamente una mano dalla tasca. In quella mano convulsa stringe una piccola rivoltella
Mop (notandolo subito). Che hai lí?
Salter (che avrà subito rimessa in tasca la mano armata; seccato). Niente. — Bada: se li porta su, ti proibisco di restare con loro.
Mop. E che vorresti fare?
Salter. Non lo so. Deve finire.
Mop. Ma come, finire? Sei pazzo?
Salter. Non mi farò vedere nemmeno io. Va’ a sentire alla porta, se vien sú sola.
Mop si muove per uscire sul corridojo.
La trattiene, stando in orecchi.
Si odono difatti da basso, lontane e confuse, parecchie voci, come rintronanti nel vano della scala.