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vestire gli ignudi 905


Ersilia. Sí! Dissi una ragione... l’ultima, che in quel momento era vera; e ora non piú.

Franco. Non piú? perché non piú?

Ersilia. Perché io, per mia disgrazia, ora vivo, sono viva ancora!

Franco. Per tua disgrazia? È una fortuna!

Ersilia. Ah no, grazie! Bella fortuna! Mi vorreste condannare a essere quella che io volli uccidere? No, no, basta, quella! — O lasciatela stare con la ragione che disse allora, quella! e che ora non vale piú, né per me, né per te! — Basta!

Ludovico. Ma perché non vale piú, scusi?

Franco. Se per quella ragione volesti morire...

Ersilia. Ecco! Appunto! Morire! Finire! — Non sono morta: non vale piú!

Franco. Come se io non potessi rimediare... Posso!

Ersilia. No! No!

Franco. Come no? E allora quella che era per te ragione di morire, dev’essere al contrario, adesso, ragione di vivere, mi pare!

Ludovico. È cosí!

Franco. Sono qua per questo!

Ersilia (con altra voce, improvvisa, recisa, sillabando, con l’indice e il pollice delle mani congiunti per accompagnare col gesto le sillabe). Stento finanche a riconoscerti.

Franco (restando). Tu me?

Ersilia (stravolge di scatto in aria le mani, e va a sedere, tra lo stupore dei due, che la mirano, come si mira qualcuno che, inopinatamente, ci si scopre del tutto diverso da quel che ci eravamo immaginato prima. Dopo una pausa ella dice): Non mi fate impazzire.

Altra pausa. Poi col tono di prima:

Non stenti forse anche tu a riconoscere me?

Franco (sommesso, addolorato). Ma no, no... Perché ti pare cosí?

Ersilia. Oh, tanto che, sai? se t’avessi visto prima, non avrei piú proprio, proprio potuto dirlo...

Franco. Che cosa?

Ersilia. Che m’uccidevo per te. Non è vero! — Ma neanche la voce... gli occhi... Mi parlavi con codesta voce?